Mi avventuro, amici lettori, a raccontarvi un testo teatrale. Non senza qualche perplessità, perché il genere non si presta a un esame analitico , come si fa per il romanzo, mancando ingredienti come l’intreccio, il punto di vista, le scelte stilistiche, che sostanziano la narrativa. Comunque, ci provo. Ho letto Casa di bambola da ragazzina, scovato nella libreria di casa, perché credevo che di bambole trattasse. L’ho comprato per rileggerlo, spinta dalla curiosità. Mi accorgo che l’opera si presta a due letture: contestualizzata e fuori contesto. Incerta di fronte al bivio, ve le propongo entrambe.
Prima lettura – contestualizzata: Ibsen scrisse e pubblicò Casa di bambola nel 1879. E’ un dramma sociale che ritrae la mentalità della borghesia dell’epoca e ne condanna il maschilismo. Nora è la moglie amatissima di Torvaldo che la protegge e tiene lontana dalla concretezza della vita. Ciononostante, lei, all’insaputa del marito, ha contratto un debito per una somma destinata alle spese di un viaggio necessario al recupero della salute di Torvaldo. Per fare ciò, ha falsificato la firma del padre, non potendo, per la legislazione dell’epoca, una donna contrarre prestiti senza autorizzazione di un maschio di famiglia. La reazione del marito di fronte allo “sbaglio” della moglie, sarà tale da indurla a prendere coscienza di sé e dei suoi doveri verso se stessa, facendo di Nora la prima femminista della letteratura e aprendo sul tema un dibattito non solo in Norvegia, ma in tutta Europa.
Seconda lettura – decontestualizzata: Torvaldo tratta la moglie come una deficiente, le si rivolge in questi termini “Il mio lucherino (è un uccello) sventato è uscito di nuovo per sprecare quattrini?” e “Il mio uccellino non deve farlo più. Gli uccellini possono gorgheggiare solo col beccuccio pulito” . E Nora, complice inconsapevole, contribuisce all‘imbarazzante cinguettio “Tu non sai quante spese abbiamo noi lodole…”. Dov’era Freud al momento della pubblicazione? Troppo giovane. Non so se nel diciannovesimo secolo le conversazioni tra coniugi avessero tale tenore. Forse Ibsen ha esagerato per meglio sostenere la sua tesi? Forse. Quel che è certo è che nella vicenda succede qualcosa che consente alla “bambola” di squarciare il velo, aprire gli occhi e vederci chiaro, avviandosi a recuperare e riscattare se stessa, con quattro semplici, salvifiche parole: BENE. ORA E’ FINITA.
Autore: Henrik Ibsen
Casa editrice: Mondadori