La madre, Sophie; Aline, Vigèe, Victoria, Esther , le quattro figlie.
La storia si apre con la morte della madre, rappresentata in maniera poetica e struggente. A novantuno anni, stanca e malata decide di porre fine alle sue sofferenze e le figlie, come sempre hanno fatto, piegano il capo davanti alla sua volontà.
E il lutto va rielaborato: Esther che più delle altre ha assistito la madre nella malattia, si accorge di conoscere poco di lei e cerca di ricostruirne la vita.
Sophie è nata ad Aleppo, in Siria, in una famiglia di ebrei benestanti. Studia in Francia, ma l’invasione tedesca la costringe a fuggire. Tornata in Siria, conosce il futuro marito, uomo intelligente e versatile, nonché ricco imprenditore. Davanti ai malumori degli arabi, a seguito dell’istituzione dello stato di Israele, una nuova fuga, questa volta a Milano. Qui Sophie si conquista, anche grazie a un naturale fascino, una posizione di primo piano, nell’elite artistica e culturale della città. “Non bisogna mai perdere di vista la bellezza”, amava dire.
Donna indipendente, anticonvenzionale ai limiti della stravaganza, lascia nel cuore delle figlie la cicatrice della mancanza di quelle attenzioni e di quelle sicurezze di cui si cibano i più piccoli. Madre amatissima, sfuggente e divisiva: ha lasciato credere a ciascuna delle sue figlie di essere la preferita alimentando gelosie e competizioni. Eppure lascia un vuoto incolmabile.
Nella narrazione, di elegante fluidità, i punti di vista e le voci narranti si alternano, e anche a Sophie è concessa la libertà di intervenire, per ricordare e spiegare. Nell’ultima parte le quattro donne ricordano la madre con dolore, rimpianto e, anche, risentimento per i vuoti affettivi che ha lasciato.
Un romanzo raffinato, che si avvale di una prosa mai banale, precisa, che tiene conto della misura della poesia, e di una lingua intima e coinvolgente, che sa modularsi nei diversi registri, descrittivo, narrativo, dialogico, epistolare. Consigliato
Autore: Colette Shammah
Casa editrice: La nave di Teseo